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Sei di Carpi se..

Quando un albergo diventa il termometro dell’economia di una città

Annalisa Bonaretti • gen 22, 2021
Con Gianguido Tarabini parliamo del Touring: costruito negli anni ‘60, ha conosciuto gli splendori e le crisi di Carpi

Quando un albergo diventa il termometro dell’economia di una città

Annalisa Bonaretti

Da un anno a questa parte gli alberghi hanno visto una diminuzione, quando non un crollo, delle prenotazioni. Se si ferma tutto, se vengono meno le vacanze o, nel caso di Carpi, i clienti legati al mondo del business, la crisi è inevitabile. Se hai le spalle larghe puoi affrontarla, ma anche in questo caso non per un periodo troppo lungo. Di certo sono mutate le richieste della clientela: prima si privilegiavano prezzo e posizione, oggi protocolli di sanificazione e di distanziamento. 
E’ cambiato il mondo dell’ospitalità e anche l’esperienza alberghiera va reinventata. Il nostro albergo storico, il Touring, che ha visto la Carpi degli anni d’oro - ne è sia frutto che attore – ha la fortuna di avere una proprietà solida e paziente ma anche realista, che ha saputo attraversare le varie epoche di Carpi, ma l’era Covid è tutt’altra cosa.
“Un albergo – spiega Gianguido Tarabini, proprietario assieme alla famiglia della struttura – è un termometro per misurare la temperatura dell’economia di una città, soprattutto di una città come la nostra che non vive di turismo ma di lavoro. 
Fino al 2019 è stato così, poi lo scorso anno è cambiato tutto. Il calo che abbiamo subito – precisa – è direttamente proporzionale al calo delle imprese e del loro fatturato. Il nostro, nel 2020, ha segnato un -60% rispetto all’anno precedente. Nel 2020 abbiamo registrato 20 mila presenze, nel 2020 7.500, 15 mila contro 6 mila camere. Il 50% della nostra clientela era extra Unione Europea, uomini e donne provenienti da Cina, Corea, Russia, Stati Uniti, gente che, oggi, manca completamente dalla nostra città”.
Il Touring – “si scrive Touring ma - come ama precisare Gianguido – si legge Molinari-Tarabini -, ha subito una chiusura totale di tre mesi “e - prosegue - nei restanti le difficoltà di trasporto si sono fatte sentire proprio come la quarantena a cui sono costretti gli stranieri quando arrivano nel nostro Paese e che, ovviamente, ha contribuito a bloccare i flussi dei viaggiatori. “Se vengono – ammette Gianguido Tarabini – è perché hanno necessità impellenti. Vivacchiamo con il mercato locale, ma non basta per andare avanti. Da settembre a dicembre 2020 qualcosa si era mosso quanto basta per galleggiare. Abbiamo 67 stanze, se dicessi quante ne abbiamo avute occupate, si capirebbe l’entità del danno. Per semplificare diciamo dalle 7 alle 12 fino all’estate, dopo 35, poco per immaginare il futuro, ma noi siamo tenaci. Fortunatamente – continua - negli anni precedenti abbiamo lavorato molto bene, abbiamo un ottimo direttore, Marco Malavasi, il ristorante, che abbiamo dato in gestione, all’interno della struttura alberghiera e questo è un indubbio vantaggio. Nel 2021 ci sarà una svolta, questa pandemia non durerà per sempre. Come imprenditore ho il dovere di essere realista, ma ho anche quello di saper cercare e trovare soluzioni, ed è questo che faremo, in fondo sono convinto che il peggio sia passato. Gennaio è iniziato discretamente, possiamo andare avanti e lo faremo, ci teniamo particolarmente all’albergo e alla nostra città”. 
E’ il futuro di Carpi ad essere tutt’altro che facile da immaginare, anche per uno come Gianguido che, grazie al suo lavoro precedente, ha viaggiato in lungo e in largo il mondo e ne ha potuto cogliere aspetti e tendenze. Il Covid ha mutato radicalmente quello che pareva essere immutabile ma sarebbe miope non captare segnali che potrebbero dare risultati positivi come, ad esempio, la nuova consapevolezza di quanto importanti siano le relazioni. 
E di quanto sia grande la voglia di incontrarsi, parlarsi, toccarsi. Perché i contatti da remoto sono rilevanti, ma niente a che vedere con la fisicità di cui abbiamo tutti bisogno. E di cui sentiamo una gran nostalgia.
 “Secondo me a Carpi bisognerebbe dare centralità alla Piazza – sostiene – e a tutto il nostro centro storico che è bellissimo. Basta solo guardare Modena, in pochi anni ha decisamente migliorato il suo aspetto anche grazie a bei negozi, bar e ristorantini alla moda”, un mix riuscito di pubblico e privato, quest’ultimo che investe anche perché considerato partner dal primo che lo incentiva. “A Carpi – chiarisce Tarabini – c’è ben poco e i centri commerciali fuori dal centro hanno contribuito a uccidere il cuore della città. Eppure – sottolinea – il cuore di Carpi non vuole morire. 
Posso anche capire la Piazza chiusa, ma se è chiusa devi farla vivere con delle iniziative e dando, a chi lo vuole, la possibilità di investire. Poi – e mi spiace dirlo ma non posso ignorarlo - Carpi non può più vivere solo di tessile
abbigliamento, occorre aiutare e potenziare chi c’è e resiste, ma anche pensare a riconvertire il nostri distretto. Per alcuni decenni avevamo l’alternanza di maglieria e confezione con le macchine da legno, quando un settore soffriva l’altro andava alla grande, adesso è sparita anche questa meccanica ‘povera’ e tutti i problemi sono venuti a galla insieme. 
Mi sembra che, in città e per la città, manche un’idea valida e concreta di sviluppo”. Lo diciamo in tanti, ma poi le nostre considerazioni restano lettera morta. Tante volte mi chiedo il perché e le risposte che tento di darmi sono più di una. E allora mi viene una gran nostalgia degli anni ‘60 quando io ero una bambina ma in città c’erano uomini e donne audaci, capaci di rischiare, se cadevano sapevano rialzarsi e lo facevano sempre con la schiena dritta. Guido Molinari era uno di loro e con la sua lungimiranza e la sua inclinazione agli affari ha voluto il Touring perché aveva capito che, per far crescere la città, serviva un albergo grande che sarebbe cresciuto assieme a lei. Ed è stato così negli anni ‘70 e ‘80, negli anni ‘90 il Touring, proprio come Carpi, ha sofferto un po’ di decadenza, poi si è ripreso perché la proprietà ha deciso, modernizzandolo, di investirci. “Proprio in quel periodo la mia famiglia si è chiesta cosa fare e, dopo varie riflessioni, abbiamo deciso di andare avanti. Mio nonno era impegnato con le donazioni all’Ospedale, i miei con Blumarine; io, che ero attaccatissimo al nonno e a quello che lui aveva costruito, mi sono detto disponibile a seguirlo e così ho fatto. Poi me ne sono allontanato per seguire la ditta di famiglia e adesso eccomi ancora qui. Come città abbiamo superato momenti difficili, spero riusciremo a farcela anche con questo ma…”. Quello che Carpi è l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, quello che potrà diventare dipende anche da ciascuno di noi. Io incrocio le dita e, con uno sforzo di volontà, affermo “ce la faremo, senza se e senza ma”. Se sapremo dimostrare di essere una comunità, il futuro ci sarà amico.
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