SEI DI CARPI SE
TRADIMENTO: chi mantiene il figlio dell’amante della moglie?
Nulla dura in eterno, nemmeno i tempi per denunciare un tradimento. Ricordiamo che il giorno del matrimonio, agli sposi vengono letti gli articoli del Codice civile, tra cui c’è quello in cui è esplicito l’obbligo di fedeltà coniugale. Bene.
Se il marito si accorge (per evidenti motivi) che la moglie è rimasta incinta di un altro e desidera non solo porre fine al matrimonio ma pretendere che l’amante di lei si prenda le sue responsabilità, è meglio che si muova subito.La Corte d’Appello di Bologna ha appena costretto un uomo a mantenere non uno ma due figli nati dal tradimento della moglie
(il destino ha voluto che dall’adulterio nascessero due gemelli) perché arrivato troppo tardi a sollevare il caso. Eppure aveva tutte le carte in mano per scoprire subito che i bambini non erano suoi: l’esame del Dna gli aveva dato ragione. La legge, infatti, prevede questi limiti:il marito resta il «presunto padre» dei figli nati dalla moglie (cosa che non vale per i conviventi di fatto) entro 300 giorni dopo l’udienza di separazione;la madre può disconoscere la paternità entro 6 mesi dalla nascita del bambino o da quando viene a conoscenza dell’impotenza del marito;il padre può disconoscere la paternità entro un anno dalla scoperta del tradimento o della propria impotenza;il disconoscimento della paternità non può mai essere richiesto dopo che il figlio ha compiuto i 5 anni.
Che significa? Facciamo qualche esempio.
Caso 1: il marito non è impotente e la moglie resta incinta. È quello che succede a qualsiasi coppia sposata che mette al mondo un bambino: si presume che il pargolo sia figlio del marito e della moglie. Si presume.Può succedere, però, che la moglie abbia avuto la tipica «storiella» con l’idraulico. Il marito li trova a letto, cioè scopre il tradimento, e decide di separarsi, indipendentemente da fatto che lei rimanga incinta o meno. Dopo l’udienza di separazione, il marito scopre che lei aspetta un bambino.
Tecnicamente – ci siamo capiti – non può essere figlio di lui ma dell’idraulico. Per 300 giorni dopo la data di udienza della separazione, però, sarà il coniuge il presunto padre.
A meno che non chieda subito un esame del Dna che smentisca tale presunzione.
Caso 2: il marito potrebbe essere impotente e la moglie incinta non lo vuole come padre.
Mettiamo, però, che la moglie incinta abbia parlato con l’idraulico con cui ha consumato il tradimento e che, insieme, abbiano deciso di farsi carico del bambino in arrivo.
Sia perché vuole cominciare una nuova vita sia perché, anche volendo convincere il coniuge che il figlio è suo, non potrebbe farlo: ha scoperto che il marito è impotente. In questo caso, lei ha 6 mesi di tempo dalla nascita o dalla scoperta dell’impotenza di lui per chiedere che quella paternità presunta attribuita al marito venga disconosciuta.
In questo modo, l’idraulico potrà riconoscere il bambino e, ovviamente, dovrà farsi carico insieme alla moglie infedele del suo mantenimento.
Caso 3: il marito potrebbe essere impotente e non vuole farsi carico del bambinoVogliamo, però, dare anche al marito l’occasione di dire la sua?
Certo che lo può fare, ma entro certi termini. Se decide che la moglie e l’idraulico devono prendersi le proprie responsabilità, deve chiedere il disconoscimento della paternità del bambino in arrivo entro un anno dal giorno del tradimento, cioè da quello in cui ha trovato la moglie a letto con l’idraulico, o da quello in cui ha scoperto di essere impotente e che, quindi, il pargoletto non può scientificamente essere suo. Morale della favola: Chi scopre un tradimento della moglie finito in gravidanza e non chiede il disconoscimento della paternità entro un anno, è tenuto a mantenere il bambino dell’amante della moglie. Questo perché – chiariscono i giudici bolognesi – il primo interesse da tutelare è quello del minore (in questo caso dei gemelli).Si fa presto a portare la moglie in tribunale accusandola di tradimento e di essere incinta di un altro uomo.
Ma come dimostrarlo? Perché l’onere della prova spetta a chi esercita l’azione, cioè, in questo caso, al marito tradito. Di modi ce ne sono.
Uno, ad esempio, consiste nell’esibire il certificato medico di impotenza che certifichi sia la capacità di avere rapporti sessuali sia la capacità di concepire. Di norma, un documento del genere lascia poco spazio ai dubbi.
Se, invece, il marito tradito non ha questo tipo di problema ed è separato dalla moglie da un certo tempo, può tentare di dimostrare che i due non convivevano durante il periodo in cui lei è rimasta incinta, che la loro vita si svolgeva in modo da escludere degli incontri occasionali e che, quindi, non hanno avuto rapporti sessuali.
Terza eventuale prova: il test del Dna che viene ordinato dal giudice una volta avviata la causa. Consiste in un prelievo di sangue o di saliva per l’accertamento della paternità.
Questo test è l’unico modo in grado di dimostrare che il bambino in arrivo ha delle caratteristiche genetiche incompatibili con quelle del marito della madre (dire del padre non sarebbe corretto perché un padre, comunque, ce l’ha). Pertanto, questa prova basterebbe da sola anche se le due citate precedentemente non possono essere presentate al giudice.Secondo la giurisprudenza, in caso di tradimento, la moglie che rimane incinta di un altro uomo ma non dice nulla al marito lasciando credere (anche per un periodo di tempo) a quest’ultimo che il bambino in arrivo sia suo, a tal punto di spingerlo a riconoscere il neonato, lede il diritto all’autodeterminazione del coniuge.
Significa che viene meno il diritto del marito all’identità e alla libertà personale e morale. In questo caso, è legittimato a chiedere un risarcimento alla moglie.
Avvocato Alessandra Selmi