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Sei di Carpi se..

Una medicina chiamata organizzazione

Annalisa Bonaretti • apr 09, 2021
Stefano Bellentani, epatologo, dopo una vita lavorativa spesa a Carpi e una parentesi in Inghilterra, da cinque anni lavora in Svizzera, ma una volta al mese torna per visitare a Villa Richeldi. Un confronto tra due sanità, soprattutto nella gestione Covid

Annalisa Bonaretti

Dalla pianura Padana alla sponda settentrionale del lago Maggiore, da Modena a Locarno: una distanza non eccessiva in chilometri, ma un netto cambiamento perché Italia e Svizzera, in comune, non hanno granché, se non i confini. Stefano Bellentani, nel 2015, a 61 anni, ha deciso che era arrivato il momento di un nuovo cambiamento e non si è fatto intimidire dall’età o altro e ha modificato la sua vita, dandosi nuovi stimoli e altrettanti obiettivi.


Modenese, una laurea in Medicina e una specialità in Gastroenterologia, ha lavorato per anni presso il Distretto sanitario di Carpi; all’inizio degli anni 2000 ha fondato l’associazione Amici del fegato visto che era il responsabile del Day Hospital di Epatologia. Soddisfazioni e riconoscimenti ne ha avuti tanti, ma capita che, a un certo punto, non si riesca più a vedere una reale possibilità di crescita professionale e allora c’è chi temporeggia e rinuncia e chi accetta la sfida e si lancia verso realtà sconosciute. Così ha fatto Stefano Bellentani, ha colto una finestra per andare in pensione anticipata grazie alla legge Fornero e a ottobre 2015 è partito per l’Inghilterra, sei mesi vicino a Londra, diciamo un Erasmus da adulti. “Lì, per una serie di coincidenze strane, tramite un’amica-collega, si è presentata l’opportunità di andare in Svizzera – ricorda Bellentani -, ho accettato, sono ripartito e dal luglio 2016 mi sono trasferito a Locarno. I primi tre anni ho lavorato alla clinica Santa Chiara, a Locarno, e ho collaborato e continuo a collaborare con l’Epatocentro a Lugano (Ticino). Dopo tre anni, in questo Cantone, puoi lavorare come indipendente e così ho fatto. Ho rilevato lo studio di uno dei primi gastroenterologi locali e ho dovuto diventare anche imprenditore. In Svizzera gli specialisti hanno uno studio dove hanno tutto. Oltre a me ci sono altre cinque persone; nel mio team c’è anche Gennaro Lubrano, abbiamo lavorato insieme a Carpi per 15 anni. Ci piacciono le sfide”.



Uno studio medico come vorremmo vederne anche in Italia, dotato di tecnologia all’avanguardia e dove poter effettuare esami e interventi in daysurgery. “Una scommessa”, la definisce Stefano, anche perché è arrivato il Covid e le cose sono cambiate anche lì, ma con un’organizzazione e un rigore che, purtroppo, in Italia mancano.

Bellentani spiega la diversità dei due sistemi sanitari: in Svizzera il sistema territoriale è assicurativo – l’assicurazione di base è obbligatoria per tutti coloro che sono domiciliati in quel Paese -; le compagnie assicurative si fanno una concorrenza positiva per il cittadino, le prestazioni sono efficaci e le liste d’attesa pressoché inesistenti. “Con 270 euro al mese hai tutto tranne le medicine complementari, per quelle devi aggiungere 120 euro – spiega -. Con 5 mila euro all’anno hai veramente tutto, soprattutto un sistema efficiente. Non c’è Cup, il rapporto tra paziente e medico è diretto. Il medico di base è come quello che c’era da noi una volta, un professionista che ti segue e ti conosce realmente. E’ lui a gestire tutto e se capisce che c’è la necessità di uno specialista si collega direttamente e fa la richiesta. Uno scambio diretto tra professionisti che giova al paziente. Se il malato viene ricoverato in clinica, il medico di base lo può seguire”. Decisamente molto positivo, se non fosse per il costo che non tutti possono permettersi.



I nostri medici sono molto apprezzati in Svizzera, molti dottori che ci lavorano provengono dall’Italia, Lombardia e Piemonte soprattutto, tanto che, come racconta Bellentani, “la medicina interna è gestita prevalentemente da professionisti italiani. In Svizzera il rapporto medico/paziente è molto forte, il malato si fida e si affida”.



Differenze tra i due modelli di sanità significa anche diversità nella gestione del Covid: in Ticino, ad esempio, dall’inizio della pandemia si è fatto la scelta, peraltro assolutamente logica, di adibire due ospedali esclusivamente per il Covid mentre tutti gli altri assicuravano le altre prestazioni. Medici e infermieri, da subito, erano protetti. Sono stati creati percorsi Covid per aiutare cittadini e professionisti. Il paziente sospetto Covid telefona al medico di famiglia – e lo trova! -, quando possibile viene curato a domicilio, se c’è la necessità e solo nei casi gravi, il paziente viene ricoverato in ospedale. Il tampone si fa a casa, o in strutture appositamente adibite denominate “Check Point Covid” e gestite dalla Protezione Civile e dai medici di famiglia e specialisti del territorio. Le scuole sono rimaste sempre aperte, chiusure come quelle di bar e ristoranti ci sono state, ma decise con largo anticipo, questo fino a fine 2020, a gennaio 2021 hanno chiuso tutto ma non le scuole e le piste da sci. Un occhio alla salute e uno alla istruzione e all’economia è possibile. Il numero di morti è alto anche qui, comunque, in tutta la Svizzera, è 3 volte e mezzo inferiore alla Lombardia (paragonabile alla Svizzera come numero di abitanti). Il Paese ha sofferto ma in maniera tollerabile perché, piaccia o meno, in certe situazioni l’organizzazione è decisamente preferibile alla “creatività”. A gennaio, quando è arrivato il vaccino, si è proceduto con razionalità: medici e sanitari dei due ospedali Covid – Locarno e Lugano -  e delle Rsa, i fragili e gli over 85; adesso stanno vaccinando la fascia di età 65/75 anni e, almeno in Ticino, ormai i morti e i ricoverati in terapia intensiva si contano sulle dita di una mano.



Nella gestione della pandemia la Svizzera è imparagonabile all’Italia che deve cogliere quest’occasione per rivedere tutto, ma propria tutto, il sistema sanitario. A cominciare dalla medicina del territorio. “Proprio così – conclude Stefano Bellentani -; sarò diventato troppo svizzero anch’io, ma credo che la prima cosa da modificare,che non richiede grossi cambiamenti per i pazienti, sia regolare lo stipendio dei medici di Medicina generale e degli specialisti del territorio non sul numero di pazienti, ma sul lavoro effettivamente fatto, oltre a fare, da parte delle istituzioni regolatorie, controlli severi, quelli che garantiscono soprattutto il paziente”. Insomma, non viene nominata direttamente, ma stiamo parlando di meritocrazia. La grande malata in questo nostro Paese.


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